Raffaella Bolini, 7 dicembre 2015
FRANCIA. Quando una società che si ritiene democratica (conservatrice o progressista che sia) considera normale fare questo ad altri esseri umani, il fascismo trova la strada spianata. Leggete questo diario di una volontaria nel campo di Calais, nord della Francia, dove più di 7.000 migranti sono bloccati in condizioni disumane. Non da oggi, e non dalle Le Pen. In un sostanziale silenzio. Chi semina orrore, orrore raccoglie. E anche chi guarda, senza muovere un dito.
“Sono una dottoressa e sono appena tornata dai campi profughi di Calais e Dunkurk, dove sono andata da volontaria.
La sofferenza lì è oltre ogni possibile immaginazione. Non ho mai visto niente del genere prima, condizioni spaventose. Qui sotto un racconto degli ultimi giorni. Per favore leggete e condividete se volete. Bisogna che queste cose si sappiano.
Mia cugina, che è una psichiatra, ha visitato recentemente il campo di Calais e ha scoperto che la assistenza medica per i rifugiati è quasi inesistente, mentre nel campo di Dunkirk non c’è per niente.
Questo significa che ci sono circa 7000 uomini, donne e bambini che hanno un limitatissimo, o del tutto assente, accesso alle cure. La maggior parte di essi sono esausti, malnutriti, e hanno problemi medici di tutti i tipi. Alcuni di essi sono gravemente malati o feriti. Sono tutti traumatizzati dalle condizioni di vita da cui sono sfuggiti, dall’orrore del viaggio e dalle condizioni disperate in cui devono vivere.
Nei giorni successivi non sono riuscita a smettere di pensare a questo e così ho deciso di unirmi a mia cugina e alla sua famiglia nel viaggio verso il campo di Calais.
Abbiamo viaggiato nell’Eurotunnel sabato mattina e all’arrivo a Calais abbiamo oltrepassato con l’auto una dopo l’altra enormi barriere di filo spinato fino al grande e affollato magazzino dove sono conservate le scorte di donazioni.
Lì mia cugina e io, insieme a un altro dottore e quattro studenti all’ultimo anno di medicina abbiamo messo insieme dei kit medici improvvisati utilizzando quello che abbiamo trovato in mezzo a una quantità di materiale assolutamente casuale.
Abbiamo impacchettato tutto e guidato fino al campo a Dunkirk. Pioggia ghiacciata, vento sferzante. Abbiamo indossato capi termici, impermeabili, stivali di gomma e abbiamo camminato nel campo.
Un mare di fango, fino alla caviglia, centinaia di tende spazzate dal vento forte – molte distrutte giacevano a terra nel fango dall’odore disgustoso.
Uomini con le facce cupe, lattanti in lacrime, e tutto bagnato, fradicio, incrostato di fango. Tende tra gli alberi, gente disperata in cerca di riparo dal vento urlante e dalla pioggia gelata. Ci siamo guardati intorno con disperazione – così tante tende, da dove cominciare?
Un volontario di Lancaster ci ha chiesto di andare per prima cosa nelle tende dove c’erano neonati e bambini. E così abbiamo strisciato in tende sporche piene di comuni di rifiuti per visitare un piccolo bambino che tossiva, una bambina di tre anni singhiozzante che piangeva da due giorni dal dolore, un bimbo di 15 mesi con una forte diarrea, una giovane madre con male ai denti, un uomo con dolore addominale che giaceva rannicchiato sotto coperte sporche.
Mentre andavamo in giro per il campo, scivolando nel fango, siamo stati fermati ovunque fossimo da persone che ci chiedevano di esaminare le loro gole, i denti, gli occhi, o il torace. E così siamo rimasti lì, nel fango e nella pioggia, cercando di fare del nostro meglio per assistere e curare. Chiamando chi passava per aiutarci con le traduzioni. Maneggiando paracetamolo, ibuprofene, sacchetti per la reidratazione, vitamina C, bendaggi applicati a ferite e qualsiasi altra cosa potessimo fare. Ricevendo sorrisi e grazie da tutti, nonostante le loro condizioni disperate.
Nella notte un incendio devastante al campo di Calais, ustioni gravi, un uomo ferito gravemente portato da altri rifugiati a una ambulanza fuori dal campo. Molte tende distrutte, 250 persone incluse molte famiglie con bambini piccoli e lattanti diventate del tutto senzatetto nella pioggia battente.
Abbiamo lavorato nel campo di Calais oggi – La Giungla, come la chiamano. Tende e fango fino a dove l’occhio può vedere, wc portatili straripanti, tubi dell’acqua bruciati che creano laghi di fango, odore di cibo cucinato mischiato con il tanfo di spazzatura e fogna.
Siamo andati al centro medico del campo – quattro piccoli furgoni con attrezzature mediche molto limitate. A circondare questi furgoni, acqua alta fino alle caviglie, fango e rifiuti – e la sempre crescente fila di rifugiati in piedi in mezzo a tutto questo ad aspettare il proprio turno.
Nelle ore seguenti le nostre esperienze e competenze sono state messe a dura prova. Cercare di curare persone così malate praticamente con niente. Niente antibiotici, niente cure adeguate per trattare infezioni serie e le malattie che abbiamo visto, nessun traduttore se non altri rifugiati che parlano un poco di inglese, nessun accesso all’acqua corrente.
E’ stata la più dura, e più difficile esperienza della mia vita. Lasciare il campo per prendere il nostro treno verso casa è stato quasi altrettanto difficile, quasi non si vedeva la fila di questa sempre più grande fila di gente disperata che cercava di essere visitata da un dottore.
Non abbiamo potuto fare abbastanza.”