di Marielena Masciello.
Ho sempre saputo che un giorno avrei ucciso, sapevo che sarebbe finita così. Le fantasie erano troppo forti. Duravano da troppo tempo ed erano troppo elaborate (Edmund Kemper).
Con questa agghiacciante frase proferita da Edmund Kemper, un mostro sadico e spietato, con dieci delitti accertati, strangolava, decapitava, depezzava e violentava i cadaveri, ci inoltriamo nell’iter delle fantasie violente.
In quest’ambito infatti un presupposto dello scatenarsi della violenza è la capacità di immaginazione. E’ la fantasia che porta l’uomo fuori dalla sfera di influenza delle sue esperienze. Lo esonera dalle sue condizioni di vita e lo libera dalle solite abitudini. Gli permette di diventare qualcun altro.
La fantasia non è legata al vissuto e non è sottoposta a inibizioni . Non ci sono limiti che gli uomini non possano pensare di superare. La violenza immaginata è libera, la si può pensare senza pericoli, e per questo stimola l’azione. Infatti una volta aperta la prospettiva attraente di superare il limite, il primo passo a volte è breve.
Forse all’inizio si sperimenta ancora con esitazione, un tira e molla di tentativo ed errore. Ma se l’occasione è propizia, è lo stesso primo atto ad aprire la strada a ulteriori fantasie e atti.
I criminali, prima di giungere, come conseguenza estrema, all’omicidio, cioè l’azione realmente motivata, sotto l’influsso di una motivazione estremamente aggressiva, hanno perlopiù fantasie caratterizzate da una forte componente di violenza.
L’FBI (1985) sostiene in proposito: “Tali fantasie sono estremamente violente e spaziano dallo stupro alla mutilazione, fino ad arrivare alla tortura o all’omicidio. Si tratta di fantasie che vanno al di là dei normali desideri sessuali, volti al conseguimento del piacere”.
Facendo riferimento a uno studio dell’FBI relativo al serial killer, già abbondantemente citato, FÜLLGRABE (1992) analizza pertanto la dinamica relativa all’insorgenza di fantasie sadiche: prima dei 18 anni, il 56% dei criminali fantasticava di commettere uno stupro, ma appena il 40% di loro aveva subito a sua volta abusi sessuali in età giovanile.
John Joubert ha riferito che le sue prime fantasie criminali si manifestarono già all’età di 6 o 7 anni: si avvicinava strisciando alla baby-sitter, la assaliva alle spalle, la strangolava e infine la divorava interamente. Successivamente , attraverso i delitti, ha potuto concretizzare quelle fantasie che aveva continuato a perfezionare fin dall’età di sette anni.
Durante un interrogatorio, Peter Kürten ha fatto verbalizzare la seguente dichiarazione: “Quando ho immaginato di squarciare l’addome a un tale o comunque di ferirlo gravemente, mi sono sentito soddisfatto una volta per tutte […]. Ho anche pensato di provocare delle stragi introducendo dei microbi nell’acqua potabile […]. Poi ho immaginato anche di servirmi di scuole, o qualcosa del genere, dove mietere vittime distribuendo piccoli campioni di cioccolata da me avvelenati con l’arsenico”. (Lenk, Kaever, 1974).
A giudicare dalle descrizioni delle fantasie criminali effettuate dai serial killer stessi si tratta fondamentalmente dell’anticipazione di azioni che si verificheranno, in un secondo momento, così come immaginato. Contemporaneamente vengono calcolate le eventuali conseguenze di tali azioni e le emozioni che ne derivano. “I meccanismi propri della immaginazione presentano una serie di analogie con quelli inerenti alla percezione e l’azione (Kornadt, Zumkley, 1992).”
Non tutti i bambini reagiscono al proprio ambiente sviluppando fantasie criminali, come non tutti i bambini che nutrono fantasie criminali vi danno poi libero sfogo. Ciò che contraddistingue, in età infantile, i serial killer da quei bambini è l’estremo egocentrismo delle loro fantasie negative, di natura aggressivo-sessuale (Burgess, 1986).
È indicativo che nelle varie interviste a serial killer non si è mai evidenziato alcun racconto di fantasie o sogni positivi. Pertanto non è chiaro se tali sogni siano realmente esistiti o se invece siano stati semplicemente repressi nella memoria per effetto di violente fantasie criminali.
Il conseguente collegamento tra sessualità e violenza può essere riconducibile a molteplici cause, una delle quali potrebbe essere costituita dal fatto che molti serial killer hanno subito abusi sessuali in età infantile o sono stati testimoni di tali abusi (i.e. nei riguardi dei fratelli). Prima o poi tali fantasie aggressive si manifestano in un contesto ludico nei confronti di altri bambini. Un criminale ha riferito che all’età di 15 anni aveva trascinato con sé degli adolescenti di età inferiore nella stanza da bagno, dove li aveva costretti a rapporti orali e anali. Così facendo, aveva inscenato di nuovo l’esperienza da lui stesso avuta all’età di 10 anni, sostenendo in tale occasione il ruolo del prevaricatore e non quello della vittima (Burgess, 1986).
Nelle fantasie criminali, un ruolo fondamentale è svolto dalla morte e dall’omicidio.
“La morte è un esempio di estremo controllo” (Burgess, 1986).
Esercitare controllo sull’ambiente implica potere e sicurezza, in quanto viene esclusa la possibilità che si verifichino imprevisti o comunque situazioni minacciose cui far fronte. Colui che mantiene il controllo detiene forza e potere, sentendosi quindi immune da qualsiasi minaccia. Questa catena di argomentazioni si sviluppa in primo luogo nella fantasia; tuttavia ogni serial killer, prima o poi, giunge a un punto tale che le semplici fantasie non sono più sufficienti a garantire il senso di sicurezza e protezione desiderato, cosicché nasce il desiderio di metterle in pratica.
È così che di norma si apre la serie omicida.
Nel caso in cui il criminale non venga arrestato immediatamente dopo il primo delitto, il cerchio si chiude e, apparentemente, le fantasie ottengono conferma. Si realizza una coesistenza di apparenza e realtà. I pensieri creano un cosiddetto “Feedback loop”, un circolo vizioso in cui inquietudini, fantasie e convinzioni si sostengono rinforzandosi e giustificandosi a vicenda. Questo processo fa sì che durante la sua formazione un futuro assassino seriale realizzi molto presto che l’uccidere è un fatto assolutamente normale e giustificato nella sua vita. Sempre Ed Kemper è tristemente famoso di come con il fucile di suo nonno dava la caccia ai pavoni e agli struzzi dei vicini. Quando il nonno lo rimproverava per il suo cattivo uso del fucile dallo stesso affidatogli,
Ed non pensava di aver esagerato ma che il nonno si sbagliasse. Per quanto lo riguardava stava facendo cose normalissime; erano gli altri che non capivano.
All’età di quattordici anni il nonno gli tolse l’uso del fucile perché diceva che esagerava nelle cose che faceva e lo metteva in imbarazzo con i vicini. Anche la nonna, la persona della famiglia forse più vicina al giovane Edmund, lo sgridava spesso per questi problemi. Più tardi Ed trovò naturale uccidere entrambi “per vedere che effetto fa sparare al nonno”.
Per i serial killers l’esperienza ha un valore supremo e senza prezzo, concretizzare i sogni di una vita e provare tutte le sensazioni.
Sappiamo che il basso livello di eccitazione li spinge a cercare stimoli sempre più nuovi e sempre più estremi.
E’ famosa la frase di Albert Fish, forse uno degli assassini sessuali più infami e privi di rimorso mai visti dall’America, che prima di sedersi sulla sedia elettrica per essere giustiziato disse: «sarà il brivido supremo, l’unico che non ho ancora provato».
Oppure quella di Peter Kurten, il famoso “Mostro di Dusserdolf”, che non vedeva l’ora di essere decapitato; il suono della testa che cade e la sensazione del suo stesso sangue che scorre sarebbero stati il suo ultimo, intenso, piacere.
Per quanto riguarda i modi in cui l’aggressività si esprime da adulto, l’indagine svela che la corrispondenza fra le fantasie infantili e il loro acting-out adolescenziale e le caratteristiche dei crimini da adulto è diretta.
Il legame qui è in modo più specifico tra fantasia e “Firma”. La firma, quello che il criminale deve fare per appagare la sua ansia, è solamente un obbedire cieco alle fantasie. “Il demone” che molti criminali indicano come il vero colpevole degli atti è semplicemente quello: il mondo fantastico del soggetto.
Possiamo quindi rimarcare che le fantasie giocano un ruolo essenziale nella costituzione della psiche di un assassino seriale e che è importante conoscere i meccanismi attraverso i quali le stesse funzionano per poter capire come si concretizzano nei crimini e a che personalità possono appartenere.
Tra le varie definizioni del termine fantasia, quella più attinente al nostro oggetto di studio è stata elaborata da Ressler, Burgess e Douglas che la descrivono come “un pensiero elaborato con un elevato livello di sofisticazione, che trae la sua origine dalle emozioni e viene generato nei sogni a occhi aperti”. Secondo gli autori, la fantasia viene generalmente percepita in qualità di pensiero, sebbene il soggetto possa essere consapevole delle immagini, dei sentimenti e dei dialoghi insiti dentro di essa. La fantasia è il mezzo più utilizzato tanto dagli adulti quanto dai bambini per ottenere e mantenere il controllo su di una situazione immaginata.
Il grado di sviluppo dell’abilità di fantasticare è diverso da individuo a individua e si basa sulla capacità personale di identificare certi pensieri come sogni ad occhi aperti, articolandone il contenuto e richiamandolo alla memoria in un secondo momento. La fantasia può avere una funzione sostitutiva oppure preparare il soggetto all’azione. Questa può essere anche definita come quel processo immaginativo per il quale una persona tenta di ottenere una gratificazione sostitutiva attraverso delle azioni vissute nella mente che non è in grado di sperimentare concretamente nella realtà.
Con il passare del tempo, un soggetto che ha difficoltà a sviluppare capacità di adattamento e di risposta concreta alle difficoltà della vita quotidiana impara a entrare in questa pseudo-esistenza sempre più velocemente facendovi ricorso soprattutto quando si sente sopraffatto da eventi stressanti e/o sensazioni di depressione e di solitudine. Questa alternanza fra la fantasia e la realtà conduce allo sviluppo di una identità doppia: una parte è associata a tutto ciò che è compreso nel mondo reale e nella vita quotidiana, mentre l’altra è l’identità segreta che viene alla luce e si manifesta quando l’individuo ha il bisogno di esercitare il potere e il controllo sulle altre persone. Il passaggio continuo è ripetuto da un’identità all’altra porta progressivamente il soggetto a confondere i ruoli e a preferire il lato oscuro dominato dalla fantasia, nel quale può soddisfare i suoi bisogni più reconditi.
Nelle fantasie, un qualsiasi individuo può immaginare un Sé grandioso e senza limiti: la differenza fondamentale fra un soggetto normale e un criminale è che quest ultimo è convinto di avere una specie di diritto divino, a soddisfare le sue fantasie nel modo che più gli aggrada senza restrizioni morali o legali.
Le parole di Dennis Nilsen evidenziano la funzione centrale delle fantasie di soddisfare il bisogni di onnipotenza, vissute come molto più gratificanti della realtà «era tale il mio bisogno di tornare nel mio mondo irreale e stupendamente caldo, che ne ero dipendente, fino al punto di conoscere i rischi che questo comportava alla vita umana […]. Sono stato il mio sceneggiatore, attore, regista e cameraman. Ho trasportato il mondo della fantasia, dove nessuno si fa veramente male, nel mondo reale, e la gente si fa male nel mondo reale […]. Queste persone hanno sconfinato nel mio mondo segreto più intimo, e vi sono morte».