Effetti sui bambini che assistono alle violenze subite dalla madre.
“Violenza assistita intrafamiliare”: il termine sembra complicato, ma la realtà che descrive è tanto semplice quanto drammatica. Si parla di bambini, testimoni di violenze familiari, che senza un aiuto sociale e psicologico adeguato rischiano di diventare adulti violenti come i loro genitori.
Per violenza assistita intrafamiliare si intendono gli atti di violenza – fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica – contro un elemento della famiglia (nella maggior parte dei casi si tratta di una madre vittima di un marito violento) che avvengono nel campo percettivo di un minore.
Secondo una stima per difetto non sono stati meno di 22 mila i minori che hanno assistito ad atti violenti nel contesto familiare, ma la realtà, rivelano gli esperti, è certamente più grave perché la violenza intrafamiliare resta custodita nel segreto delle mura domestiche, protetta dal pudore delle vittime.
I danni che ne derivano sono gravi: i bambini e le bambine vittime di violenza assistita hanno probabilità molto più alte di soffrire di stati di ansia e di rivelare comportamenti aggressivi che si rifletteranno inesorabilmente sul rapporto con i loro figli.
Purtroppo l’esistenza e la gravità di queste situazioni vengono ancora molto sottovalutate, sia dal punto di vista del riconoscimento sociale del fenomeno che sotto il profilo della necessità di interventi adeguati di tutela e cura.
Per Daniela Diano, psicologa, psicoterapeuta e presidente del Cismai: “Bisogna assicurare un ascolto autentico ai bambini che assistono alla violenza, perché la pericolosità di questa loro esperienza non è sempre immediatamente percepibile”. E’ importante quindi che vengano impegnate dal Piano sanitario nazionale le risorse necessaria per affrontare anche questo problema come “attentato alla salute dell’individuo”. Una delle conseguenze più gravi della violenza assistita in ambito familiare, è la sua riproducibilità.
La dichiarazione del professor Francesco Montecchi, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma che ha accolto e curato circa 320 bambini vittime di violenza assistita: “Spesso un genitore violento è stato a sua volta vittima di violenza, come il 29% delle madri e il 41% dei padri di questi bambini”. Quando si parla di protezione non ci si può quindi riferire solo al mondo esterno dei bambini ma anche al loro mondo interiore devastato. “Dobbiamo valutare – ha continuato nel suo intervento il prof. Montecchi – se il bambino può rimanere nel suo ambiente e se ci sono le condizioni per un recupero della genitorialità di cui ha comunque bisogno. Ma soprattutto dobbiamo agire sul suo mondo interiore, altrimenti ce lo ritroveremo da adulto di nuovo vittima o a sua volta carnefice”.
Fabio Roia, pubblico ministero della Procura penale del Tribunale di Milano, riconosce il pesante ritardo della nostra società per quanto riguarda la violenza domestica e il riconoscimento della sua gravità anche penale, tanto che i reati di maltrattamento in famiglia spesso si concludono con il patteggiamento e pene ridotte al minimo.
Ma la battaglia comincia ad estendersi anche sul terreno della cura del maltrattante, cioè l’autore delle violenze. Per ora negli Stati Uniti, dove il problema della witnessing violence è altamente drammatico e, secondo la testimonianza del sociologo Edward Gondolf, si stanno sperimentando politiche alternative al carcere. Come corsi di rieducazione per chi si è reso colpevole di violenze. Una alternativa che Roia si auspica venga presa in seria considerazione anche in Italia, considerando che la maggior parte dei condannati per violenza intrafamiliare, una volta lasciato il carcere torna a reitare l’abuso.
Iniziamo col dire che non v’è alcuna distinzione di sesso quando parliamo di vittime di V A I (violenza assistita intrafamigliare) ,sia maschi che femmine provano la stessa paura, la reazione di coloro che assistono alle violenze è pressapoco la stessa per tutti; ogni bimbo tenta di proteggere la madre che sta subendo violenza sia fisica che morale, il timore ed il senso d’impotenza danno vita ad un forte stress fisico ed emotivo,che spesso,nei bambini più piccoli, porta a farsi la pipì addosso per la paura di trovarsi di fronte a qualcuno che è più grande e più forte di lui.
Fra le mura domestiche questi bimbi sono molto taciturni, soprattutto in presenza del padre, proprio perchè cercano di evitare di assumere qualsiasi atteggiamento che possa dar vita ad una lite .Il senso di colpa li spinge a pensare di essere parte in causa del problema,non riescono a distinguere o comunque a ragionare lucidamente sulle cause che fanno scaturire il litigio. Non avendo forza fisica, ne le capacità di farsi ascoltare, preferiscono tacere, pensando che questa, possa essere la soluzione migliore per evitare di incappare nell’ennesima violenza.
Al silenzio che viene vissuto fra le mura domestiche,si contrappone un atteggiamento aggressivo negli ambienti scolastici. Quasi sempre, infatti, l’aggressività sociale è il rovescio della medaglia che fra le altre cose, questi bambini sono costretti a subire.
Lo stress del quale il bambino si nutre suo malgrado, viene scaricato al di fuori, sotto forma di parolacce, violenze ed opportunismo nei confronti dei compagni di scuola,ma anche nei riguardi degli insegnanti. Sono proprio quest’ultimi che per primi dovrebbero intuire che tali atteggiamenti non fanno parte del temperamento dell’alunno, ma purtroppo, spesso e volentieri questi segnali non vengono colti dai docenti, i quali si limitano a giudicare senza approfondire.
A questo punto,il bambino entra in un vicolo cieco, nessun aiuto esterno, a meno che non sia lui a chiederlo, cosa che non farà mai, sempre per la paura ed il senso di colpa, e nessun aiuto in casa.
La madre infatti, assume una posizione particolare nella mente del bambino, colei che dovrebbe proteggerlo, non è quasi mai in grado di farlo, poichè lei per prima si sente vittima, e quindi bisognosa di aiuto, tuttavia, anche per lei, così come per il figlio, si insinua il senso di colpa, che paradossalmente viene raggirato, non con le coccole ed il dialogo, ma “comprando”il bambino, la sua paura, ed il suo silenzio.
Spesso, non è la regola, ma accade, che molti genitori ricoprano di regali il figlio, un gesto che per il bambino non rappresenta nessuna fonte di tranquillità emotiva, ma solo un’illusione d’amore. Il meccanismo del regalo si contrappone poi alla necessità, da parte della madre, così come per il bambino a scuola, di scaricare lo stress accumulato fra le mura domestiche.
L’incapacità di poter gestire il rapporto di coppia, spinge inconsciamente la madre a controllare morbosamente la vita del proprio figlio, da qui nasce il senso del dover imporre un’educazione rigida ed ossessiva che porterà ulteriori conseguenze.
Analizziamo adesso la vittima di violenza intrafamiliare assistita adulta:
Una volta cresciuta e fuori di casa,la vittima adulta porterà con sé un bagaglio emotivo pesante e difficile da gestire.
Fra i sintomi più comuni che ritroviamo nel bagaglio, ci sono senza dubbio
- L’AGGRESSIVITA’
- LA VOGLIA DI LIBERTA’ FISICA E MORALE
- L’IMPAZIENZA
- LA NECESSITA’ DI ESSERE AMATI IN MODO VISCERALE
- ATTACCHI DI PANICO
A questi sintomi seguono poi atteggiamenti che cambiano a seconda delle esperienze vissute nel quotidiano una volta fuori di casa.
In linea generale possiamo dire quanto segue:
SOCIALMENTE
La vittima di violenza è assolutamente una persona diffidente,difficilmente infatti,avrà molti amici,la regola per lui,è fidarsi solo di sé stessi!Questo spingerà inevitabilmente nella direzione di essere autosufficienti ad ogni costo!Il che sovente, comporta un forte imbarazzo nel chiedere qualsiasi tipo di aiuto,con conseguente stress del quale non è facile liberarsi.
Se agli occhi degli altri, queste persone possono sembrare forti e decise, ed in parte lo sono più di altre, dall’altra, sviluppano paure che possono sembrare ingiustificate; paura di volare, guidare, stare a contatto con troppa gente ecc. tutti timori che nascono dall’insicurezza e dall’incapacità di poter tenere tutto sotto controllo.
IN CAMPO AFFETTIVO
Spesso i problemi più grossi si sviluppano proprio in questo ambito, ed anche in questo caso il primo scoglio da superare è proprio la diffidenza. Superato l’ostacolo sociale, si affronta un problema altrettanto serio, ossia il lasciarsi andare ad una vita sessuale appagante, in questo caso lasciar cadere barriere e corazze, costruite in anni di infanzia ed adolescenza è un compito arduo,ma che si può superare grazie al dialogo con la persona amata, raccontando senza alcuna vergogna la propria storia ed i motivi che hanno portato alla chiusura. Un dialogo aperto e la fiducia, sono le basi per poter creare un rapporto sereno, e di reciproco rispetto.
IN CAMPO FAMILIARE
Qui apriamo un altro capitolo doloroso. Se partiamo dal principio che colui che ha subito violenze, ha vissuto per anni in un ambiente familiare che non ha trasmesso la tranquillità, l’educazione alla vita, e le sicurezze necessarie per far sì che si potessero gettare le basi solide sulle quali si costruisce un avvenire, vien da sé, pensare che le vittime di violenza in futuro potrebbero affrontare qualche difficoltà in più rispetto a chi ha vissuto un’infanzia più serena.
Il naturale desiderio di avere un figlio porta con sé due problemi differenti per le vittime; posto che il manuale del buon genitore non esiste, e quindi solitamente nell’educare un figlio ci si affida al buonsenso e all’esperienza educativa ricevuta dai propri familiari, nel caso delle vittime oltre agli ordinari dubbie timori che ci si pone di fronte la nascita di un figlio, se ne aggiungono altri.
Non avendo un esempio rassicurante al quale fare riferimento, le vittime, brancolano nel buio e nei dubbi più di chiunque altro. Spesso si insinua il terrore di commettere gli stessi identici errori che fecero ai tempi i propri genitori. Non è così semplice come può sembrare, pensare di fare esattamente il contrario, il meccanismo del sopruso,scatta quasi in automatico, almeno questo è quello che molte vittime pensano, in realtà l’esperienza, l’accettazione e la lucidità mentale,aiutano a scindere quella che è stata un’esperienza negativa, dal futuro che si può dare al proprio figlio.
Tuttavia occorre una forte volontà di uscire da un tunnel che si è percorso per troppi anni, questa volontà non tutti riescono a tirarla fuori, e quindi vivono scegliendo di non avere figli per paura di essere carnefici a loro volta, il consiglio è quello di accettare l’ aiuto dello psicologo e scegliere di guarire perchè si può e perchè si deve a sè stessi!