Il dolore silenzioso dei bambini di Gaza

(Foto: Reuters)

di Emma Mancini

Betlemme, 13 dicembre 2012, Nena News – Un mese fa Israele lanciava l’operazione “Colonna di Difesa” contro la Striscia di Gaza: oltre 170 i morti, più di mille i feriti (di cui il 96% civili, secondo i dati del Palestinian Center for Human Rights), 1.500 i target colpiti dall’aviazione israeliana. La tregua firmata da Hamas e Israele è stata festeggiata dalla popolazione di Gaza come una vittoria: i gazawi hanno dimostrato ancora una volta di saper resistere, nonostante le bombe sganciate dagli F16 abbiano raso al suolo case, uffici, banche e stadi.

Oggi il mondo, dopo aver tenuto gli occhi puntati sulla Striscia per otto giorni, è ben contento di tornare ai propri affari, a Gaza tutto è tornato alla normalità. Ma non è così. La Striscia sta vivendo una nuova crisi umanitaria che aggrava drammaticamente gli effetti dell’embargo israeliano. Due giorni fa l’agenzia delle Nazioni Unite, World Food Program, ha lanciato l’allarme: dopo l’offensiva militare israeliana, la Striscia versa in una gravissima crisi. Sarebbero necessari almeno due milioni di dollari al mese per portare avanti il programma di distribuzione del cibo, in un fazzoletto di terra – prigione a cielo aperto – in cui il 40% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari. “Visto che a Gaza è un periodo di calma – ha detto Pablo Recalde, rappresentante del World Food Program in Palestina – si pensa che tutto sia risolto. Possiamo iniziare a pensare ad un processo di sviluppo, ma è estremamente difficile sotto occupazione”.

Camminando per le strade di Gaza City, pare che le necessità del vivere quotidiano abbiano di nuovo preso il sopravvento: Gaza è tornata alla vita. La gente passeggia nei mercati, compra il pesce al porto, i tuk-tuk riempiono le vie. I negozi hanno riaperto i battenti, i bambini tornano a scuola. Ma c’è qualcosa che non si vede, che non si coglie negli scatti o nelle immagini tv che ritraggono la nuova vita della Striscia.

Quello che non si vede sono le ferite peggiori, quelle psicologiche. Per notti intere la popolazione di Gaza non ha dormito, se non per poche ore. In attesa di un’altra esplosione: uno scoppio, un rumore assordante, e poi la sirena delle ambulanze.

Nel terrore continuo che la prossima bomba colpisca la tua casa. E allora ti nascondi, scegli la stanza più protetta, sapendo fin troppo bene che nessun posto è sicuro in una prigione a cielo aperto: alcuni si sono spostati in casa di parenti, altri nelle scuole delle Nazioni Unite, nella speranza che Israele non fosse così folle da attaccare l’Onu. Poi ti ricordi che nel 2009, durante Piombo Fuso, l’aviazione colpì anche i centri delle Nazioni Unite. E allora capisci che non puoi fare altro che aspettare. Nasconderti e aspettare, mentre dal cielo piovono volantini delle autorità israeliane che consigliano di allontanarsi dai militanti di Hamas e rifugiarsi in un luogo sicuro.

La tua casa dovrebbe essere un luogo sicuro. Magari anche la famiglia Al Dalou pensava fosse così. Ed ora dove prima sorgeva un palazzo, c’è un cratere; e in mezzo alle rovine spuntano gli oggetti della vita di tutti i giorni, vestiti giocattoli compiti di matematica. Ed è questo che uccide dentro. Soprattutto i bambini, i più piccoli. Ricordatevi di quando eravate bambini, anni fa: la vostra casa, la vostra cameretta, era un’alcova, il luogo in cui ci si sentiva protetti. Niente di brutto poteva succederti se ti nascondevi tra le mura di casa. A Gaza, no. A Gaza non è così.

L’Unicef, a pochi giorni dal cessate il fuoco, ha intervistato 545 bambini. “I bambini sentivano costantemente rumori forti – ha raccontato al The Guardian Frank Roni, rappresentante Unicef – Era un incubo per loro e per i loro genitori. Quando senti il pericolo così vicino, l’impatto psicologico è terribile. Bambini di ogni età non si sentivano sicuri nelle loro case, volevano dormire con i genitori, tanti bagnavano il letto”.

Secondo i dati raccolti dall’agenzia Onu per l’infanzia, il 91% dei bambini non riusciva a dormire durante l’attacco israeliano, il 94% ha dormito con i genitori, l’85% ha perso l’appetito. “Senza contare gli effetti a lungo termine sulle dinamiche familiari – ha proseguito Roni – I bambini vedono i loro genitori spaventati, privi di speranza, frustrati e incapaci di proteggerli. Tutte emozioni intense che hanno un impatto molto negativo sui bambini”.

Così mentre Hamas festeggia la tregua e i suoi 25 anni di attività, la popolazione della Striscia fa i conti con il dolore: “Come si può parlare di vittoria con tutte quelle persone uccise o ferite? Cosa abbiamo ottenuto? Solo dolore, frustrazione, morte“. Misharawi ha 27 anni e non ha nulla da festeggiare.

Nena News

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