Tutto il mondo si interessa ai Maya – Luca Perri

maya
http://www.journaldemontreal.com/2016/05/07/un-ado-decouvre-une-cite-maya – Photo Le Journal de Montréal, Martin Chevalier

2012
In Italia, settimana dopo settimana, Rai 2 trasmette 51 puntate di Voyager con Giacobbo che si chiede se il 21 dicembre 2012 a Rennes-le-Château i discendenti dei templari raggruppati al centro di un cerchio nel grano saranno salvati dall’apocalisse mesoamericana a bordo di dischi volanti.
In Canada, più specificatamente in Québec, William Gadoury è un undicenne che potremmo definire “svegliotto”. Ha una passione, l’astronomia. Visto che tutti parlano di Maya, decide di indagare un po’ sulle civiltà precolombiane. Nasce la sua seconda passione.

2013
William si mette a studiare i siti Maya e qualquadra non gli cosa: perché diamine questi tizi hanno costruito i propri centri abitati lontano dai fiumi, su terreni poco fertili e tra le montagne? La progettualità urbanistica di questi tizi non poteva davvero essere peggio di quella italiana. Doveva esserci una ragione. Una cosa, però, questo giovane talmente giovane da avere ancora livelli ormonali più bassi di quelli di un tocco di ofiolite, la sa: i Maya veneravano le stelle.

2014
Nasce l’idea: prendere in esame 22 costellazioni con cui i Maya dividevano il cielo e sovrapporle alla cartina di Google Earth.
Ta-da-da-daaaa: c’è una relazione tra la disposizione delle stelle nel cielo e i luoghi di fondazione di 117 città antiche. Elaborare la teoria è quindi un passo obbligato: piramidi, palazzi, casette e campi per giocare a pelota venivano costruiti seguendo lo schema delle costellazioni. Gli insediamenti riprodurrebbero quindi in terra le forme disegnate dagli astri, di modo che alle lampadine celesti più luminose corrispondano le città più importanti. Il 13enne pare essere il primo ad accorgersene.
Bello. Bellissimo. Ma c’è un problema. Una 23esima costellazione è composta da 3 stelle. L’ex ofiolite in carenza di ormoni ne trova solo due, su Wikipedia. Arriva l’azzardo: deve esserci una terza città ancora sepolta nella giungla dello Yucatan. William, che a sta cosa ci ha dedicato un paio di anni della sua giovane vita e che oramai ofiolite spostati che ho gli ormoni di un labrador in calore, scrive alla CSA – l’Agenzia Spaziale Canadese – per chiedere un aiutino dallo spazio. L’Agenzia Spaziale Canadese non è certo famosa per scoppiare di lavoro, quindi lo sta ad ascoltare. L’Agenzia Spaziale Canadese non è però famosa neanche per possedere millemila satelliti, quindi a sua volta chiede aiuto alla NASA e alla JAXA, l’Agenzia Giapponese. Si passa al setaccio la zona che, secondo i calcoli di William, dovrebbe ospitare i reperti archeologici.

2015
A gennaio, giunge la novella: la città ipotizzata è stata trovata in quella zona impervia dello Yucatan che l’imberbe aveva indicato. L’ormai adolescente è il solo ad essersi reso conto che una città Maya mancava all’appello. E che città: una piramide e una trentina di costruzioni. Quella che è forse una delle città Maya più grandi mai costruite era rimasta sepolta nella giungla messicana. William la chiama “Bouche de feu”, “bocca di fuoco”. Il nome viene poi tradotto in “K’AAK’CHI”. Si sboccia cedrata a fiumi. La teoria di un adolescente che non si è mai mosso dalla sedia dello studio di casa sua è stata provata. Il suo lavoro viene definito dagli esperti “eccezionale”.

2016
La NASA decide di consegnare una simbolica medaglia al merito all’ormai 15enne navigato, promettendogli una pubblicazione della scoperta su una rivista scientifica.
Nessuna spedizione sul campo è in programma, al momento, ma William ha un solo desiderio: accompagnare gli archeologi nella città perduta per dare un senso alla propria ricerca.
Un adolescente da tenere d’occhio, questo Gadoury. Un adolescente che ha dimostrato al mondo intero che, se si segue la propria passione, si è spinti dalla curiosità e ci si affida ad un’agenzia spaziale con molto tempo libero, praticamente nessun sogno è irraggiungibile.

Luca Perri

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