La fine di uno dei simboli dell’industria italiana: la Mivar, storica fabbrica italiana di televisori. Un ultimo giro di orologio per documentare l’ultimo apparecchio prodotto e la fine di un’epoca. Una testimonianza amara di quello che è andato perduto.
Carlo Vichi, 91 anni, fondatore del marchio, prima di buttare la spugna ha resistito finché ha potuto, travolto dalla concorrenza dei colossi asiatici dell’elettronica. Un imprenditore geniale e una storia iniziata negli anni ’50 in una camera da letto aggiustando piccoli apparecchi radiofonici. Carlo Vichi ha vissuto tutta la vita insieme agli operai. Non ha mai delocalizzato la produzione altrove convinto di poter resistere fino alla fine nella sua fabbrica. Un viaggio nel tempo che è stato e in quello che sarà, tra macchine che si spengono, cassetti che si chiudono e spazi vuoti nei quali si respira la voglia di riempirli ancora.
Carlo Vichi, 91 anni, fondatore del marchio, prima di buttare la spugna ha resistito finché ha potuto, travolto dalla concorrenza dei colossi asiatici dell’elettronica. Un imprenditore geniale e una storia iniziata negli anni ’50 in una camera da letto aggiustando piccoli apparecchi radiofonici. Carlo Vichi ha vissuto tutta la vita insieme agli operai. Non ha mai delocalizzato la produzione altrove convinto di poter resistere fino alla fine nella sua fabbrica. Un viaggio nel tempo che è stato e in quello che sarà, tra macchine che si spengono, cassetti che si chiudono e spazi vuoti nei quali si respira la voglia di riempirli ancora.
Dall’ultimo giorno all’ultimo combattimento. Anche nella seconda storia della puntata c’è una fabbrica sullo sfondo. Mario Amodio, 35 anni, è un ex campione mondiale di arti marziali e un ex operaio dell’Ilva di Taranto. In quella fabbrica si è ammalato di tumore. Oggi Mario combatte ancora, questa volta per la vita.
Una storia toccante tra diritti negati, inquinamento e bisogno di lavoro.