Il diritto “naturale” delle madri e gli uteri in affitto

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C’è una discussione in corso, sollecitata da fonti cattoliche (l’Avvenire) ma che coinvolge anche alcune femministe, a proposito del fatto che le coppie che non possono avere figli, sia etero che gay, per cause varie, non avrebbero il diritto di ricorrere all’utero in affitto anche se le donne che affittano quell’utero lo fanno consapevolmente, per scelta, dunque senza alcuna imposizione, e vengono pagate per questo.

Naturalizzare il diritto alla genitorialità fu anche la premessa che consentì in Italia l’approvazione della legge 40, quella sulla procreazione medicalmente assistita, con una zona monca poi di fatto aspramente criticata da sentenze di cassazione e rivisitazioni giuridiche varie. Si imponeva, infatti, che quella procreazione potesse avvenire ma solo con l’uso di ovuli e semi della coppia. Perché se non puoi avere figli significa che la natura vuole così. E di accettazione del destino naturale in accettazione del destino naturale si va avanti per parentesi discriminatorie che non capisco cosa c’entrino con il femminismo.

Per esempio, come già ho scritto, non capisco la posizione della Terragni, sebbene lei sia d’accordo che coppie lesbiche possano avere un figlio, dunque possano accedere all’inseminazione, mentre le coppie gay no. Dunque va bene la “mercificazione” del seme maschile ma quel che riguarda il femminile non si tocca. Si può dire che l’uomo impiega un seme e le donne che donano ovuli e poi affittano perfino l’utero mettono a servizio della natalità su richiesta di altre coppie molto ma molto di più. Ma si parla sempre di libertà di scelta. Se una donna vuole farlo, vuole affittare l’utero, come in generale affitta braccia, gambe, corpo per qualunque lavoro, perché non può farlo?

Non faccio finta che la questione non mi tocchi. Al di là della retorica del maternage e della mistica materna io so, almeno per quel che mi riguarda, che se custodissi un figlio nella pancia e portassi la gravidanza fino alla fine, non potrei mollarlo lì come se dal mio corpo uscisse fuori un uovo di pasqua. Se quel favore lo chiedesse un amico gay, parte di una coppia gay, conoscendolo, sapendo quanto potrebbe essere un ottimo genitore, forse perfino più di me, però non avrei problemi a farlo. Includendo con ciò anche i problemi eventuali, fisici, che da una gravidanza possono derivare. E’ indubbiamente una scelta difficile, da fare con un minimo di responsabilità e buon senso, per tutte le implicazioni che comporta, ma non imporrei mai una norma che stabilisca un divieto in nome della mia opinione. E soprattutto non mi porrei mai il problema in relazione al mio presunto diritto di genitorialità in quanto che il figlio non appartiene di certo, come principio indiscusso, a chi lo partorisce.

Non mi spingerei comunque al punto di esprimere giudizi morali nei confronti di chi fa scelte diverse. Di chi non sviluppa un attaccamento con la prole partorita. Non riterrei quelle donne prive di donnità perché la donnità, a mio avviso, non esiste neppure. Non mi lascerei sollecitare da chi esige la viva partecipazione del femminismo ovunque si chiacchieri di uteri, stabilendo una coincidenza di obiettivi e interessi tra me e chi mi impone di essere fedele al ruolo assegnato sulla base di un riduzionismo biologico che mi impedisce di scegliere il genere che preferisco.

Quel che capisco è che la stessa posizione che esige che le donne fertili partoriscano e quelle non-fertili invece no, che le donne fertili facciano figli per se stesse e i gay debbano pagare la loro gaytudine con l’assoluto divieto alla genitorialità, infine mi vieta di scegliere quando e come la mia sessualità potrà essere non riproduttiva e quando no. La naturalizzazione delle mie capacità fisiche in quel caso diventano imposizione, si traducono in una norma: posso fare figli purché entro il matrimonio, con deroghe per le coppie lesbiche, ma non posso farli per chi mi pare e al prezzo che mi pare.

E tutto ciò mi sembra una grande ipocrisia soprattutto se leggo che si cita il capitalismo come spinta alla mercificazione degli uteri. La prima mercificazione degli uteri avviene giusto ad opera di quella tanta componente religiosa che unisce il suo coro a quello di chi continua a parlare di calo della natalità con la preoccupazione che tanto rappresenti un problema per la mancanza di pensioni.

Chi parla di calo della natalità e conseguenti problemi per il welfare e le pensioni però poi non chiarisce come mai non accettiamo in Europa l’ingresso di figli di altre culture ed etnie. Se regolarizzati pagheranno le tasse pure loro e dunque per le pensioni sarebbe tutto okay. Invece mi pare che si solleciti la natalità nostrana, bianca, cattolica, in ogni caso inserita in contesti etero. E allora chiedo:

– se il mio utero serve a garantire nuovi nati per compensare il welfare e creare nuove fonti di produzione e mantenimento alle dipendenze dello Stato va bene e se invece lo affitto a chi mi pare non va bene?

Mi pare che di fondo tutto ciò sveli la stessa ipocrisia espressa quando si parla di prostituzione. Il corpo è mio finché lo uso come vuoi tu. Se lo uso come voglio io allora sono una che mercifica giacché l’unico livello di schiavitù che dovrei accettare è quello che tu mi imponi e se invece sottraggo le funzioni del mio corpo alla protezione/tutela/mercificazione di Stato (e di religione) sarei da soccorrere.

La domanda allora è: davvero qui si sta parlando della libertà delle donne o più semplicemente si sta dicendo che i nostri controllori secolari sarebbero meglio di una eventuale concorrenza?

E soprattutto: se si riconosce che alcune delle donne che affittano l’utero lo fanno perché in stato di grave precarietà perché non pensano ad un disinnesco che sta a monte, ovvero al fatto che quella precarietà va risolta parlando di lavoro, reddito, invece che di uteri?

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