L’ecatombe dei testimoni

di Luigi Grimaldi

Ricorre oggi il 17° anniversario dell’assassinio a Mogadiscio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. 17 anni di silenzi, di menzogne, di conclamati depistaggi e insistiti insabbiamenti.

Uno sforzo permanente, di proporzioni mai viste ad eccezione della strage di Ustica o del caso-Moro.

Un impegno orchestrato da mani invisibili alla giustizia, sintomatico del fatto, ormai certo, che questo duplice delitto non possa essere considerato “normale” per quanto la parola “normale” mal si adatti a qualunque fatto di sangue.

Stranezze, calunnie, segreti e delitti a distanza di 17 anni affollano ancora uno dei più intricati misteri d’Italia. In questo contesto c’è un aspetto poco noto, mal sondato, ma gravissimo e del tutto ignorato dai media che, con una certa fatica e spesso con riluttanza, cercano di seguire la vicenda e le piste di questa brutta storia che talvolta si affaccia alla finestra della informazione nazionale.

Sono le vicissitudini di tutti i testimoni più importanti del delitto Alpi Hrovatin che immancabilmente, per chi ha la pazienza di scavare tra le carte, si concludono con altrettante morti misteriose.

 

La cosiddetta “donna del the“, che ha testimoniato sulle manovre preparatorie dell’agguato mortale ai due reporter della Rai davanti all’Hotal Amana, è scomparsa e di lei non c’è traccia.

L’autista di Ilaria, Ali Abdi, venuto in Italia ha poi rinunciato al programma di protezione accordatogli nel nostro Paese: pochi giorni dopo il suo ritorno in Somalia è stato trovato morto (non si sa se per droga o avvelenamento, il termine somalo usato nei giornali di Mogadiscio che hanno dato la notizia ha entrambi i significati). Starlin Arush, una buona conoscente di Ilaria, presidente dell’associazione delle donne somale e impegnata anche a livello politico, dopo l’agguato del 20 marzo 1994 si era incontrata nella sua abitazione con l’autista di Ilaria, dopo aver rilasciato una nota intervista a Isabel Pisano (buona amica di Francesco Pazienza) e autrice di un documentario sul caso per la trasmissione Rai Format, andata in onda col titolo “Chi ha paura di Ilaria?”, è stata uccisa in circostanze misteriose, nel febbraio 2003, nel corso di una rapina lungo la strada che dall’aeroporto di Nairobi porta in città.

E ancora. Il colonnello Awes: capo della sicurezza dell’albergo Amana, nei pressi del quale avviene l’agguato mortale ai due giornalisti della Rai: è deceduto non si sa in quali circostanze né in quale periodo preciso. È stato forse l’ultimo che ha visto Ilaria e Miran vivi.

Altri testimoni, o per lo meno persone ritratte nei filmati girati dalla Tv Abc nell’immediatezza del delitto, sono morte. Come, ad esempio, «l’uomo con la maglia gialla e grigio-azzurra» che si vede durante il trasporto del corpo di Ilaria sulla macchina di Giancarlo Marocchino (l’imprenditore italiano che per primo arriva sulla scena del delitto), mentre passa nelle mani dello stesso alcuni oggetti: un taccuino, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore. Di costui si sa che era un uomo della scorta di Marocchino, il quale ha riferito trattarsi di una persona (di cui non ha fornito il nome) deceduta «sparandosi accidentalmente».

C’è poi Carlo Mavroleon, l’operatore della Tv americana Abc, che ha girato le immagini: è stato assassinato in Afghanistan nel 1997.

Anche Vittorio Lenzi, operatore della televisione svizzera, presente nei primi momenti dopo il delitto è morto qualche anno dopo in uno strano incidente stradale.

Il colonnello Ali Jirow Shermarke ha firmato un rapporto investigativo per le Nazioni Unite che accusava Giancarlo Marocchino, a seguito di una indagine che aveva svolto in quanto capo della Divisione investigativa criminale di Mogadiscio. Anch’egli è morto senza che si sappia quando e come. Il suo rapporto, pervenuto nel dicembre 1994 al dottor De Gasperis della procura di Roma, ipotizzava un coinvolgimento di Giancarlo Marocchino (definito da Carlo Taormina ai tempi della Commissione parlamentare di inchiesta come «il principale collaboratore per la ricerca della verità») e sosteneva che Ilaria e Miran sarebbero stati visti uscire, prima dell’agguato, da un garage dello stesso faccendiere italiano.

Shermarke è stato sentito a verbale dal giudice Pititto il 26 luglio 1996: in quell’occasione ha confermato il rapporto e aggiunto che: «Appena Ilaria arrivò in albergo, ancora prima che lei potesse lavarsi, ricevette una telefonata… una chiamata del Marocchino, al che lei uscì fuori dall’albergo chiedendo chi ci fosse dei guardiani perché doveva andare subito a casa del Marocchino… io credo che a uccidere i due giornalisti sia stato il Marocchino».

Marocchino, collegato da un lato a personaggi oggetto della archiviata inchiesta Sistemi Criminali di Palermo (che vedeva indagati nell’ambito di un progetto eversivo tendente a minare l’unità nazionale anche la cupola dei mafiosi stragisti insieme a personaggi come Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie), e dall’altro ai protagonisti del cosiddetto progetto Urano (un piano di traffico e smaltimento di scorie tossiche e radioattive in Somalia in cambio di armi, coordinato da un uomo del gruppo di lavoro organizzato nel 1992 da Marcello Dell’Utri per la creazione di Forza Italia) non è mai stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Roma per il duplice delitto.

C’è poi il nipote della fonte Gargallo. Il somalo da una vita in Italia, ex collaboratore di Marocchino, che ha consentito alla Digos di Udine di ricostruire nei dettagli la vicenda dell’omicidio dei due giornalisti della Rai rintracciando in Somalia testimoni oculari poi fatti arrivare in Italia e accompagnati nel nostro Paese proprio dal nipote: è stato ucciso da un gruppo di uomini armati a Mogadiscio, in un agguato, secondo quanto riferito dallo stesso Gargallo.

Insomma, accanto agli omicidi di Ilaria e Miran, c’è un ecatombe di testimoni, un tasso di mortalità spropositato: anche per coprire traffici di armi e di rifiuti.

Fonte

Leggi anche:

I CRIMINI USA E DELLA NATO SPIEGATI IN 14 MINUTI

I CRIMINI USA E DELLA NATO SPIEGATI IN 14 MINUTI

Favola Fantapolitica – Silver Nervuti

Un branco di pecore continua a farsi ammazzare senza reagire, vivendo in città di 15 minuti...

Lascia un commento