Il business delle condanne a morte e del traffico d’ organi

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Un colpo secco. Il corpo si accascia a terra. Mentre i sanitari si avvicinano, le convulsioni lo scuotono ancora. Pochi istanti e il cadavere viene caricato su un’ambulanza la cui targa è stata preventivamente coperta con nastro adesivo e i vetri oscurati con fogli di giornale. Una busta e un po’ di spago e la testa del morto viene impacchettata per evitare che il sangue si sparga sul lettino insozzando il veicolo. Le porte si chiudono e l’operazione ha inizio. La parola d’ordine è “fare presto” perché «un rene può essere impiegato per un trapianto solo se prelevato da un cadavere entro quindici minuti dalla morte del donatore, ripulito e conservato in un’apposita soluzione, altrimenti il sangue occluderà i vasi sanguigni, rendendo l’organo inutilizzabile».

A raccontare le varie fasi dell’espianto degli organi dal corpo di uno dei tanti condannati a morte in Cina è il dottor Zang Zhu. La sua testimonianza è riportata nel libro che accompagna il documentario dal titolo “H.O.T. – Human Organ Traffic”, edito da Feltrinelli e realizzato da Roberto Orazi, Alessandro Gilioli e Riccardo Neri. «All’interno dell’ambulanza – prosegue Zhu – l’atmosfera era pesante […] otto minuti più tardi entrambi i reni erano stati rimossi, lavati con una soluzione utilizzata per la conservazione dei tessuti e posti in un contenitore specificamente concepito per conservare i reni prelevati».

In Cina, quasi il 100% degli organi trapiantati provengono da corpi di condannati a morte. Per rendersi conto del business, basti pensare che ogni anno nel paese di Mao, vengono uccise “per legge” tra le ottomila e le diecimila persone. Dati precisi non ce ne sono. Secondo le stime del Parlamento europeo, però, il 91% delle esecuzioni mondiali avvengono in Cina.

Nel 1989 i reati puniti con la morte erano venti, oggi sono una sessantina. In Cina si viene uccisi per frode fiscale, per appartenenza – anche indiretta – ad organizzazioni illegali, per traffici d’arte o più semplicemente per aver violato la quarantena se ammalati. E sono solo alcuni dei reati per cui è prevista la pena di morte. Nel luglio del 2007, ad esempio, con l’accusa di corruzione, è stato condannato alla pena capitale Zheng Xiaoyu, capo dell’agenzia nazionale che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici ed alimentari.

Pochi istanti dopo le esecuzioni, arrivano i medici e svuotano i corpi: reni, cornee, ossa, fegato: «la gran parte degli organi espiantati – dichiarò nel 2006 un alto funzionario del ministero della Salute cinese durante un convegno di medici chirurghi – proviene da prigionieri uccisi». Gli ospedali specializzati nel ricevere gli organi ed effettuare i trapianti, sono almeno seicento. Mentre il prezzo per l’operazione arriva a qualche decina di migliaia di euro.

E l’Occidente? Nicchia. E sembra ostinarsi ad ignorare questo business a costo zero” (la pallottola usata per l’esecuzione è a carico dei parenti del condannato) strettamente legato alle esecuzioni capitali: più se ne eseguono e più organi vengono immessi sul mercato.

«Dopo l’espianto dei reni – prosegue Zhu nel suo racconto – un chirurgo dovette prelevare anche i bulbi oculari da destinare a una clinica oftalmologica. I chirurghi – aggiunge poco dopo – rimossero anche il cuore e i polmoni perché fossero utilizzati in ospedale come prototipi, ossia come modelli dimostrativi. Infine, vennero prelevate anche le ossa del femore e della tibia, proprio come si fa con una mucca o con un agnello, per utilizzarli in un ospedale ortopedico nella sperimentazione dei trapianti di femore e tibia. La gamba, privata della propria struttura ossea, dondolava a destra e a sinistra, seguendo i movimenti dell’ambulanza […] era praticamente impossibile tracciare una linea di continuità tra il cadavere ormai privato di gran parte degli organi interni e l’uomo che stava camminando soltanto dieci minuti prima».

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