Report – Rivoluzione 4.0

La trasmissione Report di Milena Gabanelli linkata per chi non riesce a visualizzare dal sito Rai.tv causa “malfunzionamento” dello script silverlight …


25/10/2015

Industria 4.0 è la quarta rivoluzione industriale, quella dell’interconnessione e dei sistemi intelligenti: la fabbrica che fa dialogare i macchinari, gli uomini, e i prodotti. Sistemi di fabbriche collegate in rete che creano un unico processo produttivo.

Si razionalizza così la produzione. Si può personalizzare un prodotto, produrre in modo flessibile seguendo la domanda, senza più eccessi, magazzini pieni e invenduto: cioè l’anticamera della crisi.

Si sa che la crescita, i cambiamenti globali, hanno sempre ruotato intorno alle grandi innovazioni, e spaventano. In questo momento siamo ancora sull’onda lunga delle innovazioni dei secoli precedenti, di più non si può crescere, inseguiamo solo lo zero virgola. Cambiando radicalmente sistema sì. Nel momento in cui sarà possibile la convergenza completa di tutte le innovazioni contemporanee in una nuova rivoluzione industriale, dall’intelligenza artificiale all’internet delle cose, il cambiamento sarà totale. Piano, piano, come già è successo nei secoli passati, si ridisegnerà tutto: dai centri di produzione all’organizzazione sociale.

Il paradosso della nostra epoca è un eccesso di liquidità nel mondo che non trova sbocchi per investimenti produttivi: i soldi non mancano eppure si parla di crisi.

Proviamo ad immaginare l’effetto di dare una prospettiva solida di un progetto economico agli investitori. In Italia se ne parla, Germania e Stati Uniti ci hanno già pensato e stanno facendo.

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All’interno :

L’occasionCina

min. 0:56:15 – Con cadute del 6% al giorno, quest’estate le borse di Shanghai e Shenzhen hanno tenuto per settimane l’economia globale col fiato sospeso. E’ la fine del miracolo cinese, fatto da 20 milioni di contadini che per 30 anni si sono trasferiti dalle campagne alle città e hanno permesso all’economia di crescere al ritmo del 10% l’anno.
Una fine preannunciata. Si chiama “new normal”, e significa meno crescita, meno industria, meno esportazioni, da una parte, dall’altra anche più servizi, più consumi interni, e il consolidamento di una classe media urbana che rappresenta un mercato di sbocco gigantesco per i nostri prodotti.
Un’occasione che rischiamo di perdere perché le nostre aziende, rispetto a quelle straniere, non sanno fare sistema. Non riusciamo neppure a sfondare sul cibo, settore nel quale su 35 miliardi di export vendiamo in Cina per meno di 350 milioni, l’1%. Meno della metà di quanto fattura la Francia soltanto con il vino.

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