Brancaleone, dove le navi affondano e la gente si ammala…

rigel

BRANCALEONE (Reggio Calabria)

Era il 21 settembre del 1987 quando la nave “Rigel”, battente bandiera maltese, affondò, con il suo carico di 3000 tonnellate, al largo della costa jonica reggina, a Capo Spartivento, una piccola frazione di Brancaleone.

«Probabilmente conteneva rifiuti», scrive Legambiente in un dossier. Quel che c’era realmente su quella nave non è certo, perché alla partenza della “Rigel” dal porto di Marina di Carrara non fu mai fatta un’ispezione, «grazie alla corruzione di un impiegato doganale incaricato».

Un procedimento giudiziario accertò che quello fu «uno strano affondamento». Sono trascorsi 26 anni ed a Brancaleone, coincidenza o no, negli ultimi anni si contano tanti ammalati e deceduti per il male del secolo. Tumori alla tiroide, al seno e allo stomaco vanno “per la maggiore”.

«Siamo infestati. Chi è stato responsabile di questa strage silenziosa, e non penso sia stata una sola persona, l’ha fatto per il dio denaro e dovrebbe toccare con mano e sentire quanto può fare male».

La voce ferma, lo sguardo fisso in un punto della parete e una rabbia immensa traspaiono da quegli occhi neri, così belli e altrettanto tristi.

Angela, 38 anni, nel 2009 subì un intervento per un carcinoma alla tiroide, maligno papillare variato in follicolare. È lei che si rivolge a chi ha provocato questa «epidemia». Dopo Africo, Angela e i suoi amici portano alla luce la strage che silenziosamente si sta consumando anche a Brancaleone e Bruzzano.

La donna apre le porte della sua casa e del suo cuore. Racconta della sua malattia, che poi è uguale a quella dei suoi amici: «Solo io conosco settanta persone tra Brancaleone e Bruzzano» che lottano contro il male.

A confermare il suo conteggio c’è un quadro epidemiologico realizzato tra il 1998-2003 dalla dottoressa Filomena Zappia, responsabile dell’osservatorio di epidemiologia dell’ospedale di Locri.

Lo studio mostra che «nel polo di Brancaleone si evidenziano alti valori di tumori dell’apparato digerente e peritoneo», 98,37 casi ogni 10.000 abitanti.

«È da dieci anni che sta succedendo tutto con questa frequenza, ciò significa – ipotizza Angela – che qualcosa ci ha colpito. C’erano anche prima i tumori ma non in modo così vasto. È stato come se qualcosa fosse esploso».

Angela è il simbolo della lotta a Brancaleone ma le testimonianze sono tante. «Mia madre ha avuto un tumore alla tiroide: un giorno andai ad accompagnarla per la visita, il dottore mi guardò e chiese se era mia madre che doveva esser visitata o io». Fu così che una giovane mamma di 37 anni scoprì tre anni fa di avere anche lei «il male» alla tiroide.

E poi c’è anche la donna del panificio. Basta camminare lungo le strade di Brancaleone e la sofferenza sembra infinita.

«In quella casa – indica un ragazzo – ce l’hanno il padre e la figlia. Anche ad una professoressa delle medie di recente gliel’hanno scoperto». «Quel coso ce l’ho nel peritoneo». Un sorriso beffardo sul viso di uomo sui sessant’anni: «E come lo devo chiamare? Convive con me, è dentro di me, devo chiamarlo in qualche modo per sopravvivere».

Angela ha la maglia nera con il collo alto: è una bella donna dai capelli ricci ribelli e due figlie da crescere. Lei parla e spesso la sua mano si ferma tra il collo e il torace, dove ha quel netto taglio che le ha cambiato e sconvolto la vita: «Dopo che si scopre di avere un tumore si entra come in un tunnel di sofferenza. All’ospedale, prima di Messina e poi in Emilia Romagna, dove sono stata operata, ho incontrato tantissima gente di qui: di Brancaleone, Bruzzano, Africo, San Luca, Platì. Tutti con il male».

Squilla il telefono, è Maria, anche lei “marchiata” ma al seno.

Non se la sente di dare la sua testimonianza: «Parlarne – dice Angela – è come rivivere di nuovo tutto». A Brancaleone non si sa cos’è che causa questa silenziosa strage. «Dicono – ipotizza Angela –  che possa essere il mare, perché ci sono delle schifezze. Ci andiamo lo stesso a mare, altrimenti cosa bisogna fare? Partire e andartene via da qui, se davvero esistono le schifezze di cui si parla da qualche anno».

Con la mano destra messa come a proteggere la cicatrice e il pugno della mano sinistra chiuso, la donna esprime un desiderio: «Spero che ci sia chi ha il coraggio di venire a vedere questa triste realtà che ci ha ridotti così e aiutarci, spero che non venga ostacolato perché questa non è una lotta per sapere chi è stato ma è una lotta per sapere se ancora si può fare qualcosa per evitare ai nostri figli le sofferenze che stiamo passando noi».

Ha rabbia Angela; rabbia perché la gente si ammala e muore nel silenzio più terrificante di chi dovrebbe tutelare la salute, l’ambiente, i cittadini.

La domanda che tutti si fanno è: «Cosa produce questi tumori?». Le ipotesi sono tante ma hanno tutte un unico nome: rifiuti tossici.

In mare o in montagna, non si sa. «Io sfato il mito delle navi – dice un ragazzo che preferisce l’anonimato –, sono più portato a credere che le fiumare portino a valle scorie da chissà quale zona in montagna».

Sospira e conclude: «Le fiumare a monte sono un pozzo di mistero, un mistero tossico».

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